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Premetto che il viaggio è stato di interesse “turistico” con accompagnatrice e guida locale che ci ha seguito dai monti alla costa fornendoci frequenti spiegazioni sia artistiche che ambientali. Il mio excursus sarà riferito soltanto ai punti per me maggiormente suggestivi.

Mentre Milano sta pensando di diventare una città tropicale io parto per trovare quel clima nel Paese dove c’è davvero. Anzi voglio andare al centro, alla metà del mondo: e, appunto, dall’ Ecuador passa quella linea immaginaria che divide la Terra in due emisferi. In gennaio mi ritrovo con pochi amici all’aeroporto di Linate e dopo diverse ore di volo atterriamo a Quito, capitale dell'Ecuador.

Quito si trova a un'altitudine di 2850 m sul livello del mare; ma nonostante l'altezza il clima anche in questa stagione (il nostro inverno) è solitamente piacevole e corrisponde a quello che da noi è l'inizio della primavera.

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L’Ecuador è grande poco meno dell’Italia (283.561 kmq contro 301.338) ma la sua popolazione (15.867.000 abitanti) è un quarto della nostra; quindi gli spazi, al di fuori delle città più importanti, sono grandiosi. E il cielo, il paesaggio, i monti, i fiori, le piante offrono spettacoli sorprendenti.

Alexander von Humboldt (1769–1859), naturalista, esploratore e botanico tedesco, trascorse molti anni nell’America meridionale dal 1799 al 1804. A proposito del popolo ecuadoriano, così si espresse: "Gli Ecuadoriani sono strani e unici esseri; dormono tranquillamente tra irruenti vulcani, vivono poveri in mezzo a ricchezze senza pari e si rallegrano con musica triste".

Infatti l'Ecuador è terra di vulcani (qualcuno ancora attivo) che danno nome alle rispettive province.  La parte centrale del Paese è un territorio costituito da numerosi altopiani, attraversato da nord a sud dalla Cordigliera delle Ande. I pendii sono spesso coltivati sino al limite delle rocce.

Dopo una visita d’obbligo ai monumenti e luoghi di interesse della città e dintorni di Quito (davvero piacevoli) raggiungiamo il luogo dove passa quella virtuale linea che delimita la latitudine 0.00.00. Qui, con un piede nell’emisfero boreale e uno nell’australe, ci vengono illustrati alcuni esperimenti, tipico quello dell’uovo che può stare eretto su di un chiodo.

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Il vulcano Antisana - 5753 m, a pochi chilometri dalla capitale Quito

Altra giornata allettante è quella che trascorriamo attraverso un lungo tragitto per giungere al rifugio collocato a 3700 m ai piedi del Cotopaxi che nella lingua quechua vuol dire "Collo della Luna".  Si passano boschi e piantagioni con varietà di piante (Eucalyptus, Schinus, Polylepis, ecc.).
Più in alto la vegetazione si trasforma in “páramo”: si tratta di ecosistemi o associazioni di diversi vegetali presenti in modo discontinuo ad altitudini che vanno da circa 2900 m fino al limite delle nevi perenni (qui, oltre i 5000 m); consistono in lande, brughiere, lagune e pantani colonizzati da specie erbacee e arbustive.
Giungiamo al fine al rifugio dove siamo accolti con una gustosa bevanda detta 'canelazo' a base di frutta, cannella e grappa. Il piacere di assaporarla ci accompagnerà ad ogni tappa del nostro tour.

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In avvicinamento al Cotopaxi (vulcano attivo di 5.897 m) col suo pennacchio fumante

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Ai piedi del Cotopaxi

Non si può che restare affascinati da un gigante di roccia e neve tanto grande (in altezza e in larghezza) e osservabile in tutta la provincia. Pure entusiasmante è la visione di alcuni minuscoli fiori che hanno la forza di crescere in certe condizioni climatiche.

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Gentiana sedifolia (Gentianaceae)

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Werneria nubigena

Altro giorno. Nel trasferimento verso la laguna Quilotoa passiamo il canyon del Rio Toachi. La caldera del vulcano (a 3800 m) è un lago di acque verde/azzurro largo due chilometri. Tra le piante che troviamo sui nostri passi riesco a fotografare: Chuquiraga jussieui, Lupinus mutabilis, Brachyotum ledifolium e qualche altra.

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Chuquiraga jussieui  (Asteraceae)

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Lupinus mutabilis (Fabaceae)

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Brachyotum ledifolium (Melastomataceae)

Altra tappa. Entriamo a Baños de Agua Santa nella provincia di Tungurahua. La prima sosta è in un negozio-laboratorio dove assistiamo alla lavorazione dei semi del curioso frutto di Phytelephas aequatorialis (Arecaceae) o “tagua” o "avorio vegetale" che proviene da una palma della foresta pluviale ed è usato per fabbricare oggetti decorativi. Via libera alle donne che qui trovano e comprano di tutto e di più.

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Nuovo giorno. Partiamo sotto un cielo imbronciato e piovigginoso mentre un pavone ci saluta.

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Siamo diretti a Puyo, porta dell’Amazzonia, costeggiando il fiume Pastaza, tributario del Rio delle Amazzoni. Qui dominano la foresta, l'agricoltura, il commercio, la lavorazione del legname ... e l'acqua. Proseguiamo il tour e, dopo un’occhiata al rio Grande per qualche foto agli sportivi del rafting, finalmente imbocchiamo il sentiero che conduce alla cascata detta Pailon del Diablo. Camminiamo tranquilli lungo un percorso nella foresta e ci godiamo i continui saliscendi assaporando i profumi di una vegetazione rigogliosa.

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Pailon del Diablo

Ripartiamo per Riobamba che, nella tradizione popolare, significa pianura del fiume. È capoluogo della Provincia di Chimborazo. Nel giardino dell'albergo ci divertiamo ad osservare le evoluzioni di un galletto accanito nel difendere la sua bella, candida e dal ciuffo vezzoso.

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Ci attende oggi un’escursione verso il grande monte “Signore della neve”, il Chimborazo (6310 m s.l.m.), un vulcano estinto. Lungo il percorso su strada sterrata e impervia, in un paesaggio lunare, le nubi basse ci permettono di individuare comunque la vegetazione semidesertica costituita dalla Chuquiraga, e talvolta dall’Espeletia.
Al rifugio Carrel (4800 m) nevica e tira vento ma con un po’ d’impegno io riesco a raggiungere la quota di 5000 m. Mi sento fuori dal mondo!

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Espeletia pycnophylla (Asteraceae)

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Un cartellone ci informa che la montagna fu conquistata la prima volta dall'inglese Edward Whymper con gli italiani Louis e Jean Antoine Carrel nel gennaio del 1880. Un altro cartellone dice che: se si prende come riferimento il centro della Terra, l’altezza della cima del Chimborazo è superiore a quella del monte Everest. Beh, l’Everest sporge di più dal livello del mare, però, anche il Chimborazo ha il suo primato.
Scendendo a quote leggermente più basse vigogne, lama e alpaca sono frequenti e si mostrano nella loro eleganza; in questo Paese anche vacche e pecore pascolano fin oltre i 3000 m nei pressi di fattorie e piccoli appezzamenti coltivati.

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Sempre nella provincia di Chimborazo perveniamo al cantón Guamote dove trascorriamo un po’ di tempo girovagando nel mercato del capoluogo a 3500 m s.l.m. Qui la temperatura è gradevole ed è simpatico trovare le strade dell’intero paese invase da venditori e compratori nei loro coloratissimi abiti tradizionali.

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Ma le sorprese non sono finite. Infatti l’indomani mattina ci attende l’emozionante giro sul cosiddetto trenino de la Nariz del Diablo con partenza dalla stazione di Alausi e arrivo a Sibambe: quattro carrozze che arrancano o prendono velocità a seconda delle pendenze, passano attraverso gole, fiancheggiano tratti di fiume, pascoli e boschetti, effettuando manovre singolari per affrontare salite e discese. Esperienza curiosa e divertente sia all’andata che al ritorno.

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La stazione di Sibambe vista dal treno

Ripartiamo da Alausi e fra nebbie e distese di paramo giungiamo infine a Ingapirca, sito archeologico precolombiano con interessanti reperti della tribù dei Cañari, primi abitanti del loco, dedicati alla Luna e rovine Inca dedicate al dio Sole. All’ingresso trovo questi fiori. Poi, seguendo i vari camminamenti, giungiamo al Tempio del Sole (veduta grandiosa).

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Brugmansia arborea (Solanaceae)

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Senna viarum (Fabaceae)

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Nel tardo pomeriggio, Santa Aña de los Ríos de Cuenca (2500 metri sul livello del mare) ci accoglie con temperature primaverili nel tipico aspetto coloniale del suo centro storico abbellito da giardinetti fioriti.

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Chionanthus pubescens (Oleaceae)

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Tibouchina grandifolia (Melastomataceae)

Esplosione di colori anche al Mercato della frutta dove sgraniamo gli occhi davanti a tante varietà di prodotti (alcuni inconsueti) disposti con particolare cura e buon gusto sui banchi.

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Mai fermarsi! L’indomani attraversiamo il passo del Parco National El Cayas a 4176 m per ritrovarci a Guayaquil a livello del mare, con temperature tropicali di 30 gradi. Nella piana sfilano piantagioni di palme, banane, canna da zucchero, cacao, mango, carrube, caffè, anacardi … E qui andiamo a gironzolare dentro una piantagione di cacao per toccare con mano i frutti nel loro habitat e sentirci spiegare tutte le fasi della lavorazione. Naturalmente non passano inosservati alcuni splendidi fiori che colorano il giardino di questa hacienda.

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Theobroma cacao (Sterculiaceae)

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Duranta erecta (Verbenaceae)

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Etlingera elatior (Zingiberaceae)

La nostra ultima meta prima di volare alle Galapagos è Santiago de Guayaquil sulla costa oceanica; è il popoloso capoluogo della Provincia del Guayas. Città moderna che offre una rilassante passeggiata lungo il suo imponente fiume e riserva un forte contrasto fra due colli occupati da favelas e l’area costiera residenziale ove troneggiano alberghi e condomini avveniristici.
Nei giardini antistanti la cattedrale le iguane girano tranquille tra i passanti; è per noi un preludio a quel che ci aspettiamo di vedere alle Galapagos.

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ll giorno seguente atterriamo a Baltra (South Seymour), ove si trova il principale aeroporto delle Galapagos, che distano circa 1000 chilometri dalla costa nell’oceano Pacifico. L’arcipelago, che prende il nome dalle tartarughe (galápagos, in spagnolo), è una delle province dell’Ecuador. Di origine vulcanica, consta di 13 isole (solo poche abitate) ed altri isolotti dal clima caldo e notevolmente arido. Di straordinario interesse è la fauna con la presenza di pinguini, pellicani, cormorani, otarie, tartarughe e numerose specie di uccelli.
Ovviamente ci sono anche i fringuelli di Darwin. Vale la pena ricordare che Charles Robert Darwin (1809–1882), biologo, naturalista e illustratore britannico, in questi luoghi sostò per osservare gli animali e le piante. Celebre per la formulazione della teoria dell'evoluzione delle specie, egli è ricordato sull’isola di Santa Cruz dove sorge un Centro di ricerca che porta il suo nome.
Il primo impatto con l’ambiente naturale del posto l’abbiamo con la vista di due crateri gemelli cosiddetti “a pozzo” (appunto “los Gemelos”). E qui, ma solo qui, provo la soddisfazione di scovare questo minuscolo fungo (Polyporus tricholoma, vedi sotto) proprio sul bordo della caldera.

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Di gigantesco invece vediamo le tartarughe (Chelonoidis niger): davvero enormi, libere nella loro riserva. Le fotografiamo in differenti atteggiamenti: quelle che mangiano erba, quelle che si appisolano all’ombra di grandi piante, quelle che si ristorano in pozze d’acqua e perfino un maschione di 200 chili in fase di accoppiamento con una malcapitata la quale, sotto quel peso, non osa mostrare il muso fuori dal guscio.

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Le ultime immagini della giornata ce le offre il percorso per raggiungere il lodge di Santa Cruz: un sentiero contornato da mangrovie, alberi, fiori e roccette sulle quali una lucertola è appostata per prendere l’ultimo raggio di sole.

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Intrico di mangrovie

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Tournefortia pubescens (Boraginaceae)

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Thespesia populnea (Malvaceae)

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Fiore della Delonix regia (Fabaceae)

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Pyrostegia venusta
(Bignoniaceae)

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L’afflusso turistico alle isole è regimentato; pertanto non è possibile scegliere liberamente le tappe preferite. In ogni caso, qualunque sia la meta, occorre essere al molo di buon mattino per imbarcarsi; quindi le levatacce sono all’ordine del giorno.

Oggi siamo in navigazione verso l’isola San Bartolomé, caratteristica per le sue formazioni laviche. Il nostro yatch, Altamar, è accogliente e il capitano, mentre fiancheggiamo l’isola Daphne, ci aiuta ad avvistare delfini che davanti alla prua fanno grandi salti, pellicani, cormorani, otarie e sule appollaiate sugli scogli.
Una volta sbarcati, evitando di calpestare i rossi granchi che pullulano sulle rocce, intraprendiamo una lunga salita fino a giungere sulla sommità del monte da cui dominiamo un panorama mozzafiato.

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In discesa osservo meglio questo ambiente particolarmente brullo dove riesco a scovare quei pochissimi vegetali che tentano la conquista dei pendii sfruttando la scarsa umidità circostante.

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Brachycereus nesioticus (Cactaceae)

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Euphorbia amplexicaulis (Euphorbiaceae)

Risaliamo sull’Altamar e dopo un altro tratto di navigazione trasbordiamo su un canotto per raggiungere la spiaggia di Santiago (altra isola) dove tanti provano l’ebbrezza di un bagno favoloso in mezzo a pesci dai colori sfavillanti (verdi, gialli, a strisce, a pois, piccoli e grandi ...); un vero paradiso marino. Un’otaria giocherellona guizza tra i flutti sfiorandoci al passaggio. Purtroppo dei decantati pinguini nemmeno l’ombra. Al rientro in barca tuttavia ne individuiamo tre su uno scoglietto: sembrano messi lì in bella mostra dall’Ente turismo. Giornata piena ed esperienza indimenticabile!

Il giorno successivo finalmente raggiungiamo il regno delle iguane, delle fregate e delle sule dalle zampe azzurre nell’isola di Seymour. Imbocchiamo un pietroso sentiero che attraversa ambienti brulli popolati da bassi arbusti spogli e cactus; con le macchine fotografiche pronte riprendiamo un’infinità di iguane e fregate dalla testa bianca e altre dalla testa nera. Particolarmente scenografiche sono le fregate-maschio che, nel periodo del corteggiamento, gonfiano una sacca rossa sotto la gola per attirare le femmine rimanendo per ore sui rami rinsecchiti. Altri volatili ci sorvolano numerosi (gabbiani dalla coda forcuta, poiane, fregate ecc.)

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Lasciamo a malincuore quest’isola selvaggia e con il nostro battello riprendiamo la rotta verso una spiaggia bianca, di formazione organica, per avvistare i fenicotteri rosa. In realtà ne troviamo solo due (forse gli altri sono all’ombra di cespugli per una pennichella). Meglio godersi un bagno nelle acque azzurre.
A fine giornata, tornati a Santa Cruz, ci concediamo gli ultimi scatti fotografici per altri fiori e piante tipiche del posto.

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Parkinsonia aculeata (Fabaceae)

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Delonix regia (Fabaceae)

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Ipomea pes-caprae (Convolvulaceae)

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Scalesia helleri (Asteraceae)

Concludiamo il nostro viaggio alle Galapagos con l’attesa al molo di Santa Cruz del traghetto per Baltra per poi raggiungere l’aeroporto e volare a Guayaquil. Diamo l’ultimo sguardo al mare e l’ultimo saluto ce lo danno i pellicani intenti a procacciarsi la colazione, peraltro facile visto il numero di pesci che incautamente gli nuotano intorno.

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Francesco Montani



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